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DAGLI APPENNINI ALLE HIGHLANDS

I celti in Brianza

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A cura del Dott. Livio Asta

 

L'ambiente


L a Brianza nella quale si svolsero le vicende che qui verranno esposte era profondamente diversa da quella attuale dal punto di vista ambientale e paesaggistico, soprattutto a causa del succedersi nei secoli degli interventi umani, iniziati già prima della romanizzazione e intensificatisi enormemente nell'ultimo secolo .

Una gran parte del territorio era ricoperta da foreste; in pianura prevaleva la quercia, insieme a ontano, olmo, frassino e conifere, mentre i rilievi erano coperti (a partire da quote più basse rispetto a quelle di oggi) da faggete e, più in alto, da conifere. I boschi offrivano selvaggina (che non costituiva però un elemento determinante dell'alimentazione), ma soprattutto legname (per costruzioni, attrezzi, armi, fuoco, ecc.) e ghiande per l'allevamento dei maiali, molto diffuso.

Alle estese foreste si alternavano spazi aperti: radure, brughiere (il termine stesso ha origine celtica), prati a pascolo e campi coltivati, soprattutto a cereali.

Il territorio era attraversato da una rete di sentieri o strade sterrate, il cui percorso venne in parte ripreso dal sistema viario romano; soprattutto sulle medie e grandi distanze, però, le vie fluviali dovevano essere preferibili per la comunicazione e i trasporti.

I fiumi avevano, in generale, una portata sensibilmente maggiore rispetto a quella attuale; in territorio brianteo erano sicuramente navigabili l'Adda e il Lambro. Lungo il corso dei fiumi erano frequenti in pianura le paludi, coperte di canneti (ad esempio, v. sopra per la probabile etimologia di Lambro da LAM-, palude), che costituivano certamente un ostacolo per le comunicazioni.

Completavano il quadro i piccoli laghi dell'alta Brianza, che attirarono già insediamenti palafitticoli preistorici; i laghi di Alserio, Pusiano e Annone erano in realtà originariamente uniti a formare un unico specchio d'acqua di maggiori dimensioni, ritiratosi gradualmente fino alla separazione dei tre bacini attuali.


Civilta' protogolasecchiana e golasecchiana (XII-V a.C.)


N ell'età del Bronzo Finale, parallelamente allo sviluppo nell'Europa centrale della cultura celtica dei Campi di Urne (XII-VIII sec. a.C.), cui seguiranno quella di Halstatt (VII-V sec. a.C.) e quella di La Tène (V-II secolo a.C.), nacque nell'area comprendente il Canton Ticino, i laghi lombardi, l'alta pianura milanese e novarese e parte della Lomellina la cultura protogolasecchiana (XII-X secolo a.C.), seguita nell'età del Ferro da quella golasecchiana (IX-V secolo a.C.). La matrice etnica di tale cultura, che prende il nome dal sito di Golasecca (Varese) nel quale fu per la prima volta individuata, è stata a lungo discussa, ma attualmente lo studio di alcune iscrizioni rinvenute nei pressi di Como e datate al VI-V secolo a.C. rende quasi certa la sua celticità. Alcuni studiosi addirittura, sulla base delle analogie con materiali più antichi riscontrabili nella medesima area, ipotizzano che lo stanziamento di popolazioni protoceltiche sia avvenuto nel III millennio a.C., nell'ambito di un esteso e complesso movimento migratorio di genti indeuropee che investì gran parte dell'Europa.

La cultura golasecchiana ci è nota soprattutto dalle tombe, che presentano per tutta la sua durata un rituale esclusivamente incineratorio: il defunto veniva cioè bruciato su una catasta di legno (nei pressi della fossa o dentro di essa) e le sue ceneri, frammiste alle ossa rimaste, erano poste in un vaso denominato cinerario (o ossuario); il cinerario era poi seppellito insieme al corredo funerario, che poteva essere costituito da vasi, ornamenti, armi, ecc. I corredi sono inizialmente piuttosto poveri, ma ben presto alcuni di essi attestano un notevole sviluppo economico, certamente legato ai commerci. L'area golasecchiana era infatti un tramite fondamentale per i commerci di prodotti artigianali (locali o importati) e materie prime tra la penisola italiana e l'Europa continentale; i reperti archeologici evidenziano contatti con l'Etruria, con il Piceno, con il Veneto e con la cultura hallstattiana centroeuropea. Alla probabile crescita economica si accompagnano significativi mutamenti culturali: la presenza stessa di alcuni corredi di straordinaria ricchezza è segno di stratificazione sociale, e nei due poli fondamentali (quello di Castelletto Ticino/Golasecca/Sesto Calende e quello di Como) si evidenzia uno sviluppo che, se non può dirsi propriamente urbano, li pone comunque al centro di un territorio su cui si estende il loro dominio e da cui traggono risorse.

Alla fine del VII secolo a.C. risalirebbe, secondo Tito Livio, la prima invasione di Celti d'oltralpe, guidati dal mitico Belloveso, nella pianura Padana. Secondo la tradizione liviana, essi si sarebbero scontrati presso il Ticino con gli Etruschi, vincendoli; questo popolo, effettivamente, all'epoca si era espanso oltre i confini dell'Etruria propria, tra Tevere e Arno, insediandosi in tutta la pianura fino al Po e spingendosi anche a nord del fiume con la fondazione di Mantova e la penetrazione commerciale. Le genti guidate da Belloveso avrebbero poi fondato Mediolanum (Milano). Tali eventi sono possibili, ma non dimostrabili storicamente. Sembra più verosimile, in base ai dati archeologici, ipotizzare una fase di contatti sempre più intensi tra l'area golasecchiana e quella halstattiana, con reciproche influenze.

Tra la fine del VI e il V secolo a.C. si collocano alcune iscrizioni in una lingua celtica diversa dal gallico; i caratteri utilizzati appartengono ad un alfabeto derivato da quello etrusco, che i Celti, non possedendo una scrittura propria, utilizzeranno in Italia settentrionale fino alla romanizzazione. Si tratta delle più antiche iscrizioni note in una lingua celtica. In questa fase Como può ormai dirsi un centro urbano, uno

fra i primi e più importanti dell'Europa non mediterranea. Con il terzo quarto del V secolo a.C. si fanno via via più evidenti le influenze della cultura transalpina di La Tène, segno di progressive infiltrazioni di Celti d'oltralpe che preannunciano la grande invasione del IV secolo a.C. ; con essa muterà sensibilmente la fisionomia culturale di coloro che �furono i primi Celti a scrivere, a fondare città e a battere moneta�, e che diedero un notevole impulso alla formazione della stessa cultura celtica continentale.

La partecipazione della Brianza alla cultura protogolasecchiana e golasecchiana è testimoniata con certezza da diverse tombe ad incinerazione, per lo più con il caratteristico vaso cinerario di forma biconica, coperto da una ciotola. La Brianza doveva forse essere una zona periferica rispetto ai centri protourbani situati presso i laghi, nei quali sono emerse alcune tombe �principesche�. I corredi brianzoli, soprattutto se paragonati ad essi, non sono infatti molto ricchi: si tratta perlopiù di vasellame dalla tecnica non molto evoluta, mentre scarseggiano, complessivamente, i materiali metallici (armi e ornamenti).

Due necropoli protogolasecchiane, datate al X secolo a.C., furono rinvenute rispettivamente ad Orsenigo e in via Dante a Monza ; tra i reperti provenienti da quest'ultima si segnala la presenza di armi (due spade e un pugnale) e di qualche ornamento femminile (due spilloni). Alla fine dell'età del Bronzo (o agli inizi dell'età del Ferro) si fanno risalire i materiali di una tomba scoperta a Casatenovo , in località Castellazzo di Rogorea ; la tomba è priva di cassetta litica, e l'ossuario conteneva un coltellino e una lama di pugnale. Circa alla stessa epoca risalgono materiali rinvenuti in una necropoli a nord di Biassono .

Dopo uno iato di oltre un secolo non ancora colmato da rinvenimenti archeologici (corrispondente, in effetti, ad un periodo di peggioramento climatico, in cui il popolamento si restrinse probabilmente alla fascia dei laghi) si segnalano diversi gruppi di tombe golasecchiane risalenti al VII secolo a.C., tutte ad incinerazione e in cassetta litica (la fossa scavata nel terreno è foderata con lastre di pietra): a Buccinigo (frazione di Erba) sono state rinvenute cinque tombe nel Fondo Tonelli (si segnala la presenza di bracciali e di numerose fibule, per lo più �a navicella�), e altre in località Boccogna. Tre tombe, contenenti anche alcuni oggetti bronzei, sono emerse a Longone al Segrino , presso Villa Cappelli. Tombe coeve, o di poco successive, tra i cui reperti si segnalano una lama di coltello, una punta di lancia, una collana in bronzo e alcune fibule, si sono scoperte a Mariano Comense . Molto importanti sono poi due epigrafi in caratteri etruschi, entrambe rinvenute in Valle Santa Croce presso Missaglia , datate del ipoteticamente al VII-VI secolo a.C. Una delle due, una piccola ara, non è pubblicata, l'altra, incisa su una colonna un tempo murata nel recinto della chiesa di S. Croce, è costituita da una sola parola, �MOPSIL�, forse il dativo di un nome celtico di persona, dunque �(dedicato) a Mopso�. Altri la ritengono però un'iscrizione etrusca.

Alla prima metà del VI secolo a.C. risalgono cinque tombe da Montorfano , località Guasto . Più precisamente collocabili tra il 530 e il 500 a.C. sono invece tre tombe scoperte in località Cascina Pelada, a Nord di Fecchio (Cantù), i cui corredi comprendevano, oltre ai cinerari, coppe, vasetti e fibule bronzee. Nella medesima zona, lungo la strada tra Cantù e Alzate , sono state rinvenute anche altre due tombe, datate tra il VI secolo a.C. e il seguente. Pressappoco coeva è una tomba di Trezzo , contenente diversi oggetti di valore, tra cui spicca una situla (vaso metallico) in bronzo ornata con scene di caccia; la ricchezza del corredo, e la rappresentazione di un passatempo tipico delle classi elevate fanno pensare ad un defunto di alto rango.

Si collocano pienamente nel V secolo a.C. alcuni oggetti bronzei da Cantù , la cui esatta provenienza (quasi certamente tombale) non è nota: si tratta di due anelli, una perla bitroncoconica, cinque fibule (di cui tre frammentarie), due dischetti di bronzo e frammenti di sottili filamenti. Da una località ignota del canturino proviene una piccola olla datata al V-IV secolo a.C.

Si segnalano inoltre un'ara con iscrizione dedicatoria a divinità locali rinvenuta a Desio e una tomba della prima età del ferro a Barzanò alla cui datazione precisa non mi è stato possibile, in entrambi i casi, risalire.

(continua)

Una menzione a parte meritano i numerosi massi di diverse dimensioni decorati con coppelle (cavità semisferiche), e talvolta con rettangoli, canaletti e segni vari incisi, scoperti a Capiago Intimiano (località Priella), a Carate Brianza (in località Brovada e a cascina Contravoglio ), nel bosco di Riverio presso Besana Brianza , tra Tavernerio e Albese con Cassano , a Cantù , a Erba e a Sirtori ; tali reperti, certamente legati ad attività rituali, sono collocabili cronologicamente in un periodo compreso tra l'età del bronzo (se non prima) e la romanizzazione; una datazione più precisa è resa difficoltosa sia dall'estrema semplicità delle decorazioni che dalla probabile continuità dei riti.